Testo della lettera di Osvaldo Licini a Giuseppe Marchiori del 24 marzo 1943
Monte Vidon Corrado, 24 marzo 1943
Carissimo Marchiori,
sono contento di sapervi a Venezia felicemente ritornato nella casa paterna, intero e fatto uomo, cioè fango, nel senso biblico, s’intende. Ed ora che siete tornato “uomo” da tale fango, non resta che purificarvi, o meglio, come direbbe Nietzsche, superarvi.
Ma che cosa è l’uomo?
Mi rincresce, ma nemmeno Nietzsche ha saputo rispondere a questa domanda.
Vivere, allora, andare al di là di noi stessi, trascendersi. Ecco perché ancora viviamo, con questa speranza. Delle mie tre persone della mia santissima trinità, la errante, la erotica, la eretica, le prime due, durante la vostra assenza, se ne sono andate. Non resta che la terza elevata al cubo. E è quella che vi parla. Voi sentite che la voce non è cambiata. Voi sapete che il vostro silenzio ebbe un tremendo significato. Perciò non c’è niente da scusare, era semplicemente necessario.
Adesso potremo incontrarci o scontrarci, duri e fatti uomini, sulle soglie della Basilica di San Marco o a l’ombra del campanile di Monte Vidon Corrado.
Sarò curioso di conoscere la vostra veridica istoria.
Intanto potrete continuare a scrivermi; risponderò puntualmente.
Credo avremo ancora molte cose da dirci. Sicuro, niente è finito, tutto deve ricominciare. Di nuovo mi congratulo per il vostro felice ritorno.
Tanti auguri, vi auguro una buona ripresa di lavoro, un sacco di belle cose, fra le quali quella di rivederci. Anche mia moglie vi saluta.
Vi abbraccio e credetemi vostro aff.mo
Licini
P.S. Non vi parlo del mio lavoro. Chi vivrà, vedrà.