26 Settembre 2018
A proposito di un recente libro su Osvaldo Licini: dalla mostra organizzata “all’insaputa dell’artista” al “par miracle!” (in realtà mai) detto a Mussolini
E’ uscito un libro di Giuliano Gori e Mattia Patti intitolato Osvaldo Licini ed edito da Gli Ori di Pistoia nel 2017.
Il libro contiene, tra l’altro, il testo di una videointervista rilasciata a Mattia Patti dal collezionista Giuliano Gori, un’intervista nella quale quest’ultimo traccia anche un suo ricordo dell’artista.
La frequentazione di Gori – all’epoca non ancora trentenne – con Licini è stata peraltro assai breve essendo consistita soltanto in alcuni sporadici incontri avvenuti nel corso dell’ultimo anno di vita dell’artista che, come noto, scomparve l’11 ottobre 1958.
Nell’intervista Gori dice di aver sentito parlare per la prima volta di Licini nel corso di una conversazione con il critico d’arte Luigi Carluccio: quest’ultimo gli aveva detto, infatti, di avere organizzato una mostra dell’artista presso il Centro Culturale Olivetti di Ivrea.
Licini – come avrebbe raccontato Carluccio a Gori – “era un artista molto schivo, che non amava assolutamente esibirsi”; lo stesso Carluccio avrebbe raccontato a Gori che per poter realizzare comunque quella mostra, “approfittando di un momento in cui Osvaldo si trovava a letto malato”, si sarebbe accordato con Nanny, la moglie svedese di Licini, per prelevare dallo studio alcune opere al fine di esporle: “il tutto all’insaputa dell’artista”.
Gori, sempre riferendo quanto gli avrebbe detto Carluccio, dice anche che Licini, quando venne a conoscenza di “quell’arbitrio” si arrabbiò moltissimo nonostante la mostra avesse riscosso un ottimo consenso.
Questa vicenda, piuttosto rocambolesca, descritta nel libro è tuttavia priva di fondamento storico: Licini, in realtà, partecipò personalmente, come noto, alla realizzazione della mostra di Ivrea del febbraio 1958.
Il 14 gennaio 1958 l’artista scrisse una lettera a Vanni Scheiwiller, che in quel momento stava curando l’edizione del catalogo della mostra, proprio per ringraziarlo per quanto stava facendo; la firma di Licini che compare riprodotta sulla copertina del catalogo, d’altra parte, era stata appositamente inviata dallo stesso artista a Scheiwiller.
Con una lettera del 23 gennaio 1958 Licini fece avere a Scheiwiller, in vista della pubblicazione del catalogo della mostra, le notizie biografiche completate, l’elenco delle mostre personali nonché i titoli e le date delle quattro “quadricromie” che sarebbero state inserite nel volume.
Entrambe queste lettere sono state pubblicate nel 1974 in Osvaldo Licini, Errante erotico eretico Gli scritti letterari e tutte le lettere raccolti da Zeno Birolli, a cura di Gino Baratta, Francesco Bartoli, Zeno Birolli (Feltrinelli Editore Milano).
Anche soltanto alla luce di questi elementi non si comprende francamente come si possa dire che quella mostra di Ivrea fosse stata organizzata “all’insaputa dell’artista”.
Mattia Patti, nella postfazione, scrive che il ricordo di Giuliano Gori è da riferire invero alla quinta edizione di Pittori d’oggi Francia – Italia che si inaugurò a Torino nell’ottobre del 1957 (e quindi il ricordo non sarebbe da riferire alla citata mostra di Ivrea).
In realtà Licini partecipò attivamente anche alla realizzazione della sua retrospettiva che si tenne all’interno della quinta edizione di Pittori d’oggi Francia – Italia.
Lo dimostra, tra l’altro, una lettera di Luigi Carluccio a Vittorio Viale datata 11 agosto 1957 che peraltro è lo stesso Patti a citare in una nota posta all’interno della sua postfazione: in quella lettera Carluccio dice di essere stato a trovare Licini il quale gli era sembrato d’accordo con l’idea di esporre a Torino una ventina di opere.
Del resto, in un articolo apparso il 15 ottobre 1958 sulla Gazzetta del Popolo ed intitolato Ha dipinto gli angeli ribelli, Luigi Carluccio ricordava di avere portato con sé in treno, dalle Marche a Torino, in una valigia, alcune opere che lo stesso Licini gli aveva affidato affinchè fossero esposte alla quinta edizione di Pittori d’oggi Francia – Italia.
Nell’intervista Gori racconta poi un aneddoto da lui appreso già prima di conoscere Licini, aneddoto che – dice – avrebbe riascoltato anche alla presenza dello stesso artista.
Si tratta dell’episodio avvenuto, nel 1935, alla II Quadriennale d’arte nazionale di Roma nella quale Licini espose, tra l’altro, un’opera intitolata Il bilico.
All’inaugurazione, racconta Gori, Mussolini sconcertato di fronte a Il bilico (un dipinto nel quale due triangoli stanno in equilibrio toccandosi sui vertici), chiese a Licini come potessero due triangoli stare in piedi sulle punte: la risposta dell’artista fu “par miracle, Eccellenza!”.
Racconta Gori che Mussolini, a quel punto, avrebbe detto: “mi scusi, non avevo riflettuto bene. Ma forse lei appartiene a quella categoria di artisti cosiddetti … cerebrali”; e Licini avrebbe replicato: “Eccellenza, spero che lei non ami quelli intestinali!”.
La versione raccontata da Gori non corrisponde, tuttavia, alla verità di questo aneddoto.
Prima di tutto Mussolini non fu coinvolto nell’episodio: il dialogo su Il bilico, come ricorda Licini in una lettera a Giuseppe Marchiori del 21 maggio 1935, ebbe infatti, come interlocutore, un “ambasciatore di tutte le Gallie”.
Marchiori precisò poi che si era trattato dell’ambasciatore francese in visita alla mostra (in Giuseppe Marchiori, Osvaldo Licini Con 21 lettere inedite del pittore, De Luca Editore, Roma, 1960).
Da qui anche la spiegazione di una risposta – “par miracle!” – data da Licini in lingua francese (rivolgersi a Mussolini in quella lingua sarebbe stato del resto privo di senso).
Il riferimento, poi, agli artisti “cerebrali” e a quelli “intestinali”, contrariamente a quanto raccontato da Gori, è completamente estraneo all’aneddoto su Il bilico.
La distinzione tra pittura “cerebrale” e pittura “intestinale” fu fatta da Licini all’interno della Lettera aperta al Milione pubblicata nel 1935 sul Bollettino della Galleria del Milione di Milano (Bollettino n. 39, 19 aprile – 1 maggio 1935).
Purtroppo neppure la postfazione fa luce sulla verità di questo aneddoto.
Lorenzo Licini