29 Febbraio 2020
Il cielo nel lago
Nell’antichità era diffusa la credenza che i laghi fossero luogo di incontro tra la terra (con la sua profondità) e il cielo; era come se un asse immaginario, attraversando il lago, potesse unire tra loro gli inferi, la terra e il cielo (1).
In questa ottica i laghi potevano essere considerati sacri; la loro acqua, fonte di vita, veniva associata al femminile, alla maternità ed era frequentemente collegata al culto della Grande Madre.
Gli Etruschi consideravano Bolsena come il loro lago sacro (2).
Credo che anche Licini sentisse un legame particolare con questo lago; la regina Amalasunta (che, come noto, fu una sua fonte di ispirazione per le opere sul tema dell’Amalassunta) morì proprio in un’isola di quel lago, la Martana; l’isola ha la forma di una mezzaluna e il cognome Licini – derivante dal latino “licinus” che significa “dalle corna rivolte verso l’alto” (3) e lunate, come quelle del toro – appare in singolare sintonia con questa forma; il cognome Licini, d’altra parte, ancor prima che con la gens Licinia romana sarebbe da mettere in relazione con la famiglia etrusca dei Lecne (famiglia dalle origini in un certo senso riconducibili proprio all’area di Bolsena) (4).
Studiando l’etimologia del cognome, Licini aveva probabilmente cercato di risalire alle proprie origini più remote, più “primordiali”; e, attraverso questa ricerca, era forse giunto a localizzare geograficamente la propria “regione delle Madri” (5).
Occorre tuttavia precisare che per Licini neppure la civiltà etrusca, anche se molto lontana nel tempo, poteva essere considerata primordiale (6).
In effetti il primordiale è da identificare soltanto con qualcosa di divino che precede le epoche storiche, anche quelle più remote.
Come scrisse René Guénon esiste una “tradizione sacra, di origine ‘non umana’ (apaurushêya), per mezzo della quale la Sapienza primordiale si comunica attraverso le epoche a coloro che sono in grado di riceverla” (7).
Tuttavia gli Etruschi erano portatori dell’Etrusca Disciplina, una serie di insegnamenti sacri che, secondo la tradizione, sarebbero stati trasmessi a loro direttamente dagli Dei (8): ricevendo questi insegnamenti essi erano divenuti detentori della Sapienza primordiale.
Sembra che l’Etrusca Disciplina desse grande rilievo ai numeri, al loro valore sacro e simbolico; in questo senso tale Disciplina si avvicinava al pensiero pitagorico (9).
Credo che queste caratteristiche degli Etruschi avessero affascinato Licini (assai sensibile al tema del primordiale e al pensiero di Pitagora): la scoperta di una origine “etrusca” del proprio cognome non avrebbe certo potuto lasciarlo indifferente.
Naufragio
Non c’è quindi da stupirsi se anche in altre opere dell’artista (oltre a quelle sul tema dell’Amalassunta) siano presenti riferimenti al lago di Bolsena, luogo fulcro della civiltà etrusca.
Tempo fa mi sono soffermato sul collegamento a mio avviso esistente tra l’Angelo di Santa Rosa (dipinto nel 1957) e questi luoghi (10).
Desidero adesso soffermarmi su un’altra opera realizzata da Licini nello stesso anno, Naufragio, un’opera che appare ugualmente riferirsi al lago di Bolsena.
Come nell’Angelo di Santa Rosa, anche in questo dipinto è dominante il verde, un colore che l’artista, in una lettera a Franco Ciliberti del primo febbraio 1941, aveva associato all’idea di profondità.
Nell’opera una forma geometrica con tre punte e una mezzaluna sembrano naufragare in una profondità verde.
Ebbene, la forma con tre punte pare rimandare all’isola Bisentina, la mezzaluna all’isola Martana, la superficie verde al lago di Bolsena.
Del resto, lo stesso titolo dell’opera – Naufragio – può suggerire l’idea di un collegamento con l’acqua.
Sole e luna
Si è detto che gli Etruschi consideravano la Bisentina come la loro isola sacra, un’isola che, in particolare, avevano destinato al culto del sole (che ritenevano maschile) (11).
Il lago era visto come il punto d’incontro tra la terra (con la sua profondità) e il cielo: in questa ottica non deve meravigliare che la stessa superficie del lago fosse considerata alla stregua di un cielo con il suo sole.
Il cielo nel lago, appunto.
Se la Bisentina era dedicata al culto del sole, la Martana (anche per la sua forma particolare) veniva associata alla luna (12).
Per gli Etruschi la luna era femminile; in epoche successive, d’altra parte, la Martana è stata tradizionalmente legata a importanti figure femminili come, ad esempio, Santa Cristina e la stessa regina Amalasunta (13).
Veltha e Voltumna, maschile e femminile
É stato detto che “…gli Etruschi, come i Celti o gli Egizi, veneravano una suprema diade divina: Veltha, il dio, e, Voltumna, la dea. Il dio si manifestava attraverso il sole, il cielo, la fecondazione; la dea era patrona della terra, delle acque, della luna e della fertilità” (14).
Il nome Voltumna sarebbe peraltro di epoca romana: il nome etrusco della stessa dea “potrebbe essere stato Urcla” (15).
In questo senso Veltha rappresenta l’elemento maschile della diade divina, Voltumna quello femminile.
Sul piano simbolico Veltha (il sole) può essere associato all’isola Bisentina; Voltumna può essere invece collegata al lago (le acque) e all’isola Martana (la luna).
Ma se il cielo è una manifestazione di Veltha e la terra una manifestazione di Voltumna, l’unione tra il cielo e la terra (che per gli etruschi, come detto, si verifica proprio in corrispondenza del lago) è una rappresentazione di nozze tra divinità e quindi sacre (ierogamia).
Credo che l’opera Angeli primo amore (16), realizzata da Licini nel 1955, debba essere guardata e interpretata nell’ottica di una unione alchemica e sacra tra opposti: sole e luna, cielo e terra/acqua, componente maschile e componente femminile della divinità.
Il dipinto, tra l’altro, risale allo stesso periodo nel quale viene pubblicato un fondamentale testo di Carl Gustav Jung intitolato Mysterium coniunctionis. Ricerche sulla separazione e composizione degli opposti psichici nell’alchimia.
Il cielo, in Angeli primo amore, è rappresentato da un giallo particolarmente acceso che ricorda la luminosità del giorno del solstizio d’estate: proprio la data nella quale sembra che gli Etruschi celebrassero le nozze sacre tra Veltha e Voltumna.
Lorenzo Licini
(1) Si legga, in tal senso, Giovanni Feo, Il tempio perduto degli Etruschi, Edizioni Effigi, Arcidosso (GR), 2014, pag. 45.
(2) Si veda, a questo proposito, Giovanni Feo, Miti, segni e simboli etruschi, disegni di David De Carolis, Stampa Alternativa Nuovi Equilibri, Viterbo, 2003, pag. 15.
(3) Gian Biagio Conte, Emilio Pianezzola, Giuliano Ranucci, Il dizionario della lingua latina, Le Monnier, Firenze, 2000, voce “licinus”, pag. 694.
(4) Per un approfondimento su questi aspetti rimando al mio scritto intitolato Amalassunta, l’Angelo di Santa Rosa e la “regione delle Madri” pubblicato nel 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it.
(5) L’espressione “regione delle ‘Madri’” è utilizzata da Licini in una lettera a Franco Ciliberti del primo febbraio 1941. Al di là di qualsiasi localizzazione geografica, l’espressione “regione delle Madri” deve essere intesa soprattutto in senso simbolico, come riferimento al profondo della propria interiorità. Per ulteriori elementi sull’interpretazione di questa lettera rimando al mio scritto intitolato Una profondità ancora verde, in particolare al paragrafo intitolato Ima, pubblicato nel 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it.
(6) Per alcune mie considerazioni sul rapporto tra Licini e il primordialismo rimando allo scritto intitolato Una profondità ancora verde, cit..
(7) René Guénon, Il re del mondo, traduzione di Bianca Candian, Adelphi, Milano, 1977, pagg. 17-18.
(8) Si legga, a questo proposito, la nota (a) di A.R. (Arturo Reghini) in René Guénon, Il re del mondo, prima versione italiana autorizzata dall’originale francese per cura di Arturo Reghini con l’aggiunta di alcune note e di una Introduzione a cura dello stesso, Alberto Fidi Editore, Milano, 1927, pag. 61.
(9) Sembra che il pensiero di Pitagora avesse esercitato una notevole influenza sul mondo etrusco; per ulteriori elementi sul rapporto tra Pitagora e gli Etruschi si veda Giovanni Feo, Il tempio perduto degli Etruschi, cit, pagg. 71-77.
(10) Si veda il mio scritto intitolato Amalassunta, l’Angelo di Santa Rosa e la “regione delle ‘Madri’”, cit..
(11) Giovanni Feo, Miti, segni e simboli etruschi, cit. pagg. 15-16.
(12) Nel lago Titicaca, sulle Ande, gli Inca consacrarono un’isola al sole e, un’altra, alla luna; questo lago era da loro considerato sacro: in tal senso si legga Giovanni Feo, Miti, segni e simboli etruschi, cit., pagg. 15-16.
(13) Giovanni Feo, Miti, segni e simboli etruschi, cit., pag. 16.
(14) Giovanni Feo, Il tempio perduto degli Etruschi, cit. pag. 54.
(15) Giovanni Feo, Il tempio perduto degli Etruschi, cit., pag. 57.
(16) Per trovare miei ulteriori riferimenti a quest’opera si legga Angeli primo amore, uno scritto pubblicato nel 2019 sul sito internet osvaldolicini.it.