30 Novembre 2019
Il miracolo di San Marrr co
L’esame di alcuni documenti mi ha finalmente consentito di chiarire – stavolta direi in maniera definitiva – i dubbi che per decenni hanno riguardato l’esatta datazione e il vero titolo di questa opera di Licini.
Dubbi che, peraltro, avrebbe potuto già risolvere il catalogo della XXIV Biennale d’Arte di Venezia nel quale l’opera era chiaramente intitolata “Il miracolo di San Marrr.. co” ed era datata 1939.
Nel 1948 Licini prestò il dipinto per l’esposizione a quella Biennale; ebbene, nella relativa scheda di prestito (datata 30 marzo 1948) (1) l’artista indicò il 1939 come anno di esecuzione dell’opera; nove anni erano quindi già trascorsi dal 1939 e questo spiega perché Licini scrisse, nella lettera a Marchiori del 12 febbraio 1948, che avrebbe mandato alla Biennale delle “vecchie croste” (2).
Con una lettera alla Segreteria della Biennale di Venezia datata 10 aprile 1948, l’artista chiese poi di modificare il titolo originariamente indicato nella sua scheda di prestito – Il miracolo di San Marco – in Il miracolo di San Marrr co (3).
Tale richiesta di modifica del titolo non poteva non derivare da un motivo importante, soprattutto se si considera la particolare attenzione attribuita da Licini al significato delle parole (4).
Mi sono quindi chiesto quale potesse essere il significato profondo del titolo di questa opera.
San Marco
All’apparenza il titolo è una semplice allusione al San Marco libera uno schiavo di Jacopo Tintoretto (5): un dipinto nel quale San Marco è raffigurato mentre, a testa in giù, irrompe dal cielo al fine di salvare uno schiavo che era stato condannato a morte per aver venerato una reliquia dello stesso santo.
Anche nel dipinto di Licini è presente una figura che, a testa in giù, irrompe dal cielo; un’irruzione dal cielo che, seppur con notevoli diversità stilistiche, può ad esempio ricordare la caduta di Lucifero nei Soldati Italiani (del 1917) o quella dell’Angelo ribelle su fondo giallo (del 1949).
Nel miracolo di San Marrr co la figura precipita in direzione dei due segni che, guardando il dipinto, sono posti nella parte in basso a destra: uno ricorda la parte superiore di un tau (la lettera T greca), l’altro fa pensare alla forma del numero 8.
La forma della lettera tau (che Licini ha utilizzato, ad esempio, anche nelle opere sul tema delle Croci viventi) ricorda una croce: il tau fu adottato come simbolo religioso dagli antichi cristiani (“crux commissa”) e, tra l’altro, San Francesco lo scelse come proprio segno identificativo.
Quello che, nel dipinto, potrebbe apparire come un semplice numero 8 (o il simbolo dell’infinito posto in verticale) mi fa più pensare, in realtà, a un “uroboro”: si tratta di un simbolo originario dell’antico Egitto che raffigura un serpente che si morde la coda (6); il serpente, secondo alcune tradizioni, rappresenta la gnosis, la conoscenza.
Nel Miracolo di San Marrr co il tau potrebbe quindi rappresentare la croce e, pertanto, la fede cristiana; il segno che evoca l’uroboro indicherebbe invece la gnosis, la conoscenza.
Ebbene, secondo una leggenda Marco Evangelista, nel 46 d.C., convertì al cristianesimo un saggio gnostico egiziano; in tal modo si realizzò – come per miracolo – un’unione tra la misteriosofia e il cristianesimo, tra la conoscenza e la fede.
Forse Licini, con il suo dipinto, volle rappresentare proprio la leggenda di questo “miracolo” di San Marco.
Osvaldo Licini, Il miracolo di San Marrr co, 1939, olio su tela, 39 X 50 cm (immagine tratta da Osvaldo Licini, Presentazione di Luigi Mallé, Catalogo di Zeno Birolli e Aldo Passoni, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino, 1968, foto XVI)
Le tre R
L’artista, come detto, chiese alla Segreteria della Biennale di Venezia che il nome Marco, nel titolo dell’opera, fosse modificato in Marrr co.
Ho quindi cercato di capire la ragione di questa richiesta di modifica.
All’esito della mia ricerca penso di poter ipotizzare che le tre R siano un riferimento al papa Silvestro II (al secolo Gerberto di Aurillac) (7) che, infatti, è stato talvolta definito come il papa delle tre R.
Secondo un’antica leggenda Gerberto riuscì a costruire un automa che era capace di predire il futuro: una volta l’automa gli predisse che sarebbe passato da una R ad un’altra R e che poi sarebbe divenuto papa in una R. In effetti Gerberto, prima di diventare Silvestro II, fu arcivescovo a Reims (R) e poi a Ravenna (R); divenne infine papa a Roma (la terza R).
Gerberto fu un uomo di sconfinata cultura; una cultura che spaziava dalla matematica alla geometria, dalla fisica all’astronomia, dalla letteratura alla musica.
Come è stato osservato, “Gerberto non studiava le scienze per se stesse. Permeato dall’idea dell’unità della Creazione, interroga i numeri per incontrarvi Colui che ha ordinato tutto con saggezza, misura, logica e armonia”; “come render conto delle leggi dell’astronomia o della musica senza iniziare dall’aritmetica? Ciò non esclude successivamente la contemplazione e la lode” (8).
Anche in Gerberto si sarebbe quindi verificata un’unione tra la conoscenza e la fede; si torna così ai due simboli – l’uroboro e il tau – presenti nel dipinto di Licini.
Nel Miracolo di San Marrr co la figura che irrompe dal cielo è colorata di nero, bianco e rosso. Sono gli stessi colori dell’opera del 1932 intitolata Un Uccello (9) e in alchimia rappresentano, rispettivamente, la Nigredo, l’Albedo e la Rubedo; si tratta delle tre fasi nelle quali si articola il procedimento alchemico di creazione della pietra filosofale.
Sul piano simbolico la ricerca della pietra filosofale allude alla possibilità dell’uomo di trascendersi seguendo un percorso di perfezionamento interiore.
Nel dipinto la figura nera, bianca e rossa precipita in direzione dell’uroboro e del tau; forse Licini ha voluto dirci che l’uomo può trascendersi proprio quando riesce a unire la conoscenza (gnosis) alla fede.
Lorenzo Licini
(1) La scheda (denominata “Scheda di notificazione delle opere degli artisti invitati”) fu firmata dall’artista; ho potuto consultare questo documento presso l’Archivio Storico delle Arti Contemporanee (ASAC) di Porto Marghera (VE).
(2) Il testo di questa lettera di Licini a Giuseppe Marchiori è stato pubblicato in Giuseppe Marchiori, Osvaldo Licini Con 21 lettere inedite del pittore, De Luca Editore, Roma, 1960, pag. 27.
(3) Ho potuto consultare questa lettera presso l’Archivio Storico delle Arti Contemporanee (ASAC) di Porto Marghera (VE).
(4) Sull’importanza dell’aspetto verbale per Licini mi permetto di segnalare un mio scritto, intitolato La luna nel nome, pubblicato nel 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it.
(5) Questo celebre dipinto di Jacopo Robusti detto Jacopo Tintoretto (1519 – 1594), eseguito tra il 1547 e il 1548, è conservato presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia.
(6) L’uroboro a forma di 8 è una variante dell’uroboro più diffuso che invece ha forma circolare.
(7) Gerberto di Aurillac nacque intorno al 950 e morì nel 1003; divenne papa nel 999 assumendo il nome di Silvestro II.
(8) Patrick Demouy, in Flavio G. Nuvolone, Da Gerberto a Silvestro II: ermeticità di nome, numeri e Croce nell’anno Mille, Edizioni Pontegobbo, Bobbio (PC), 2013, pag. 129.
(9) Sull’aspetto “alchemico” di alcune opere di Licini mi permetto di segnalare il mio scritto, intitolato Una profondità ancora verde, pubblicato nel 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it. Il bianco, il rosso e il nero sono presenti anche, ad esempio, nel Bilico del 1932; sono inoltre colori richiamati da Licini nella sua lettera a Giovanni Scheiwiller del 5 gennaio 1933.