28 Febbraio 2021

Lacerba, L’Acerba, La Cerba. E Bruto

Nell’estate del 1913 il diciannovenne Licini scrisse una ventina di racconti “tutti invasati da un cinismo brutalissimo(1).

Oggi ne conosciamo soltanto alcuni: Bruto in campagna (La passeggiata sentimentale, il cuore in mano), Bruto in città (La nottata sentimentale, La conversazione sentimentale, La merda che fuma).

Furono pubblicati per la prima volta nel 1974 con il titolo di Racconti di Bruto dal nome del loro protagonista principale (2).

Il ripetersi, in alcuni titoli, dell’aggettivo “sentimentale” deve essere inteso in senso ironico: si tratta, infatti, di racconti che di sentimentale hanno ben poco, essendo appunto “tutti invasati da un cinismo brutalissimo”.

 

Nel settembre del 1913 l’artista inviò uno di questi racconti (intitolato La passeggiata sentimentale) al musicista Francesco Balilla Pratella sperando di ottenerne la pubblicazione sulla rivista futurista Lacerba (3): “se lo troverà abbastanza originale da poter essere pubblicato sulla Lacerba, la prego, ella avrà modo di farmelo pubblicare e di garantire, con due righe, presso la direzione di Lacerba, la mia autenticità di futurista convinto, vecchio e disinteressato” (lettera di Licini a Balilla Pratella del 17 settembre 1913).

 

La rivista, fondata a Firenze da Giovanni Papini e Ardengo Soffici nel 1913, si caratterizzava, tra l’altro, per la sua polemica contro  i conformismi.

Anche in questo senso un personaggio ribelle come Bruto poteva dirsi in sintonia con lo spirito di Lacerba.

 

Il titolo della rivista si ispirava a quello del poema L’Acerba di Cecco d’Ascoli (4). Nel poema si distingueva tra la “donna” (per la quale Cecco mostrava venerazione) e la “femmina” (che invece egli disprezzava); come osservò Natalino Sapegno, questa donna, è “angelica e misteriosa, principio d’ogni virtù e fonte di beatitudine” e “in essa pare sia da riconoscere un simbolo della Sapienza increata o Intelligenza attiva” (5) .

 

La “donna”, nell’Acerba, sarebbe quindi una rappresentazione di Sophia, la componente femminile del divino.

 

Taluno ha anche ipotizzato che il vero titolo del poema fosse La Cerba (cerva) (6); la cerva è l’animale che, in alcune tradizioni, simboleggia proprio l’Intelligenza attiva, cioè Sophia.

 

Sophia è la componente femminile della divinità che, secondo alcuni, è presente, come una scintilla, in ogni essere umano e che può essere risvegliata attraverso l’intuizione.

 

Cecco d’Ascoli, in un verso dell’Acerba, scrisse: “per più vedere, la tua mente assonna” (7). Si potrebbe interpretarlo nel senso che, per avvicinarsi al divino (“per più vedere”), occorra accantonare la razionalità ed utilizzare, semmai, l’intuito.

 

Papini conosceva il pensiero di Henri Bergson e di Rudolf Steiner e, come loro, credeva nell’importanza dell’intuizione: a mio avviso la scelta, per la rivista, del titolo Lacerba (un chiaro riferimento al poema di Cecco d’Ascoli) poteva essere stata fatta anche per ribadire l’importanza della conoscenza intuitiva (simboleggiata forse dalla Cerba / Cerva).

Marinetti, nel “Manifesto tecnico della letteratura futurista”, uscito nel 1912, scrisse: “Poeti futuristi! Io vi ho insegnato a odiare le biblioteche e i musei, per prepararvi a ODIARE L’INTELLIGENZA, ridestando in voi la divina intuizione…” ; nella successiva “Risposta alle obiezioni”, uscita nello stesso anno, Marinetti tra l’altro precisò:

 

Quelli che hanno capito ciò che intendevo per odio dell’intelligenza hanno voluto scorgervi la influenza della filosofia di Bergson. Certo costoro non sanno che il mio prima poema epico: La Conquête des Etoiles, pubblicato nel 1902, recava nella prima pagina, a guisa di epigrafe, questi tre versi di Dante:

 

‘O insensata cura dei mortali,

Quanto son difettivi sillogismi

Quei che ti fanno in basso batter l’ali’

 

E questo verso di Edgardo Poe:

 

‘ … lo spirito poetico – codesta facoltà più sublime di ogni altra, ormai lo sappiamo – poiché verità della massima importanza non potevano esserci rivelate se non da quell’Analogia la cui eloquenza, irrecusabile per l’immaginazione, nulla dice alla ragione inferma e solitaria.”

(EDGARDO POE – Colloquio fra Monos e Una).

 

Assai prima di Bergson questi due geni creatori coincidevano col mio genio affermando nettamente il loro odio per l’intelligenza strisciante, inferma e solitaria, e accordando tutti i diritti all’immaginazione intuitiva e divinatrice”.

 

Anche Marinetti, dunque, era un convinto sostenitore dell’importanza dell’intuizione.

 

 Bruto

 

Bruto – il nome è un presagio – è un personaggio che si caratterizza, non a caso, per il “cinismo brutalissimo”.

A un certo punto vuole persino disfarsi del proprio cuore, l’organo nel quale “passa e ripassa l’anima” e nel quale si trovano “le piccole vene azzurrine dove si annidano i sentimenti” (8): lo estrae dal petto e lo mette nel cavo della mano.

Volendo disfarsi dell’organo che è sede dell’anima e dei sentimenti Bruto conferma così la sua natura cinica e, appunto, brutale.

 

Bruto usa l’espressione “femmina” per riferirsi ad alcune delle donne che incontra. Ad una di queste, ad esempio, dice: “sei stupida come una femmina però sei molto bella.”; al che lei sorride “perché le aveva detto bella” (9).

 

La femmina della quale parla Bruto in questi racconti è una donna superficiale che si cura soltanto del proprio aspetto fisico; in questo senso è una donna incompleta.

 

Ma analogamente incompleto è Bruto, un uomo brutale che ha rinunciato all’anima e ai sentimenti.

 

Nel 1912 fu stampato a Parigi e a Milano il Manifesto della Donna futurista di Valentine de Saint-Point, un manifesto che suscitò subito grande interesse anche a Bologna dove Licini all’epoca viveva (10).

 

Tra l’altro vi si legge: “È assurdo dividere l’umanità in donne e uomini. Essa è composta solo di femminilità e di mascolinità. Ogni superuomo, ogni eroe, per quanto epico, ogni genio, per quanto potente, è prodigiosa espressione della sua razza e della sua epoca solo perché è composto ad un tempo di elementi femminili e di elementi maschili, di femminilità e di mascolinità: ossia perché è un essere completo. Un individuo esclusivamente virile non è che un bruto; un individuo esclusivamente femminile non è che una femmina”.

E ancora: “Ogni donna deve possedere non solo virtù femminili, ma qualità virili, senza le quali non è che una femmina. L’uomo che possiede solo la forza maschia, senza l’intuizione, è solo un bruto” (11).

 

Credo che il Bruto e la “femmina” descritti da Licini siano in qualche modo da collegare al pensiero che Valentine de Saint-Point aveva espresso nel Manifesto della Donna futurista del 1912.

 

E credo anche che il disprezzo di Bruto nei confronti della “femmina” sia in un certo senso memore del disprezzo che, sempre per la “femmina”, aveva manifestato Cecco d’Ascoli nell’Acerba.

Mi pare interessante che Licini avesse scelto proprio la rivista Lacerba (il titolo della quale derivava dal poema di Cecco d’Ascoli) per la prima pubblicazione di uno dei Racconti di Bruto: Licini, come Cecco d’Ascoli, credeva che la conoscenza dovesse essere non soltanto razionale, ma anche intuitiva (quest’ultima forse simboleggiata, nel poema, da La Cerba / Cerva).

 

Licini continuò a sviluppare, nei decenni successivi, il tema del rapporto tra maschile e femminile: il maschile inteso anche come razionalità (la testa) e il femminile inteso anche come intuizione (il cuore).

 

Rudolf Steiner, più o meno quando Licini scriveva i Racconti di Bruto, parlava della necessità di pensare con il cuore, un modo di pensare che associava alla figura dell’Arcangelo Michele; il drago combattuto da Michele rappresentava, per Steiner, la scienza materialistica che aveva iniziato a dilagare nel secolo diciannovesimo.

Vincere il drago significava trasformare la scienza materialistica, fondata sul razionalismo, in scienza dello spirito.

Significava andare oltre la materia, cioè trascendersi. Per far questo era però necessario il pensiero di Michele, occorreva cioè pensare non solo con la testa, con la razionalità, ma anche con il cuore, con l’intuizione (12).

 

La testa di un giovane sormontata da un cuore che Licini disegnò negli anni Venti è probabilmente un’allusione a quel tipo di pensiero (13).

 

Lo stesso pensiero al quale credo alluda Omaggio a Cavalcanti; quest’opera, che l’artista dipinse molto tempo dopo, negli anni Cinquanta, raffigura una testa che, non a caso, ha proprio la forma di un cuore (14).

 

 

Lorenzo Licini

 

 

 

(1) Così Osvaldo Licini nella lettera a Francesco Balilla Pratella del 17 settembre 1913;

(2) Furono pubblicati per la prima volta in Osvaldo Licini, Errante, erotico, eretico gli scritti letterari e tutte le lettere raccolti da Zeno Birolli, a cura di Gino Baratta, Francesco Bartoli, Zeno Birolli, Feltrinelli Editore, Milano, 1974, pagg. 63-81;

(3) Il racconto inviato a Francesco Balilla Pratella – intitolato “La passeggiata sentimentale” – era leggermente diverso da quello, con lo stesso titolo, contenuto in un quaderno che Licini consegnò a Giorgio Morandi. Il racconto non fu comunque pubblicato sulla rivista Lacerba;

(4) Francesco Stabili (Cecco d’Ascoli) nacque nel 1269 (forse ad Ancarano, vicino ad Ascoli Piceno) e, condannato al rogo come eretico, morì a Firenze nel 1327;

(5) Natalino Sapegno, voce Stabili Francesco in Enciclopedia Italiana Treccani, 1936 (sito internet treccani.it consultato il 28 febbraio 2021);

(6) Si veda, ad esempio, Carlo Lozzi, Cecco d’Ascoli e la musa popolare, Ascoli Piceno, G. Cesari, 1904;

(7) Cecco d’Ascoli, L’Acerba, Lib. 2, cap. 4, Biblioteca Italiana Zanichelli a cura di Pasquale Stoppelli, Edizione ebook, Zanichelli, Bologna, 2010;

(8) Osvaldo Licini, Il cuore in mano in Osvaldo Licini, Errante erotico eretico gli scritti letterari e tutte le lettere raccolti da Zeno Birolli, cit., pag. 67;

(9) Osvaldo Licini, La passeggiata sentimentale in Osvaldo Licini, Errante, erotico, eretico gli scritti letterari e tutte le lettere raccolti da Zeno Birolli, cit. pag. 64;

(10) Sulla diffusione, negli anni Dieci a Bologna, delle idee di Valentine de Saint-Point si legga Alessandro Cervellati, Bologna futurista, Bologna, 1973, pag. 35;

(11) Queste parole di Valentine de Saint-Point, contenute nel suo Manifesto della Donna futurista si possono trovare anche in Valentine de Saint-Point, Manifesto della Donna futurista, seguito da Manifesto futurista della Lussuria, Amore e Lussuria, Il Teatro della Donna, Il mio esordio coreografico, La Metacorìa, Testi raccolti e annotati da Jean Paul Morel, Postfazione di Jean Paul Morel, Traduzione di Armando Lo Monaco, Il melangolo, Genova, 2006, pagg 8-9;

(12) Si veda, sull’argomento, il mio scritto intitolato La testa e il cuore, pubblicato il 29 settembre 2020 tra le notizie del sito osvaldolicini.it;

(13) Per ulteriori riferimenti si veda il mio scritto dal titolo La testa e il cuore, cit.;

(14) Per ulteriori riferimenti si legga il mio scritto intitolato Omaggio a Cavalcanti: gli occhi e il cuore, pubblicato l’11 ottobre 2020 tra le notizie del sito osvaldolicini.it;